Ci si chiederà quale ruolo rivesta l’udito all’interno di un discorso sul cibo? Per la verità, è vero che solo in pochissime occasioni ci accorgiamo, mentre stiamo mangiando, di emettere dei suoni involontari. In genere, masticando cibi croccanti.
Eppure l’operazione quotidiana del mangiare non è priva di rumori, anche se spesso impercettibili. Sotto l’azione dei nostri denti si sviluppa una fragorosa sinfonia, frutto di un lavoro inesorabile di distruzione del cibo; di lenta, ma decisa, decostruzione dell’identità di ciò che ci nutre.
Tanti essere i modi di mangiare, ma è certo che per perpetuare la nostra esistenza dobbiamo frantumare in mille pezzi porzioni più o meno indigeste di alterità.
Questa operazione di introiezione quotidiana non può essere portata a termine senza rumore. E la bocca insieme ai denti diventano i primi amplificatori di un suono che, risalendo fino alle nostre orecchie, ci informa che qualcosa di importante dentro di noi si sta compiendo.
Masticare, ingoiare, deglutire sono tutti fenomeni che risuonano al nostro interno e che, come le nostre parole, ci consentono di entrare in contatto con noi stessi e con la nostra alterità.
Alla questione del rumore è poi connesso uno dei nodi problematici dell’etichetta a tavola. Fin da piccoli ci viene insegnato che non bisogna far rumore mangiando, risultato che non sempre è facile da conseguire. Ma ci siamo mai chiesti, ci fa osservare l’antropologo Lévi-Strauss, il motivo per cui attribuiamo una straordinaria importanza alla masticazione silenziosa? Chiunque non osservi questo precetto a tavola viene tacciato di villania e giudicato senza appello.
Eppure, questa norma che grava minacciosa sulla testa di tutti i commensali occidentali è di recente costituzione. E’ sufficiente andare indietro nel tempo di appena un secolo per scoprire come, ad esempio, i Francesi salutassero “la fine di un pasto abbondante con eruttazioni cortesi”. Analoghi riferimenti potrebbero essere fatti a culture e a popoli diversi e sempre occidentali, ma accomunati da un codice libero di comportamento, ossia un codice che prevedeva al suo interno più possibilità di risposta.
Oggi, al contrario, la norma è generalizzata e valida per tutti e non consente libertà alcuna.
Lo studio dei miti di alcune popolazioni primitive delle due Americhe e del loro comportamento ha condotto a ritenere, invece, che, attraverso l’applicazione di un codice libero che esse sapevano sapientemente modulare, si trasmettessero messaggi diversi. Messaggi che riguardavano il pranzo in sé, ma anche la sfera dei rapporti tra l’uomo e il soprannaturale.
Nei miti, ad esempio, l’uso del silenzio o del rumore nella masticazione e in generale a tavola stava ad indicare la necessità per l’uomo di rispettare e di vivere in sintonia con il creato. Fare rumore mangiando poteva mascherare e, allo stesso tempo, rivelare l’esigenza di ripristinare un ordine andato perduto o che si temeva potesse andare perduto. Il rumore costituiva una sorta di trait d’union, un legame tra cielo e terra che aveva la facoltà di far tornare i piatti della bilancia in pareggio e rassicurare gli animi.
E forse, proprio in ragione del fatto che masticare vuol dire mangiare, e poiché non si può mangiare che qualcosa che sia altro da noi, probabilmente dietro il tabù moderno del masticare senza far rumore si potrebbe celare un inconfessato senso di colpa collettivo. Ovverosia, l’uomo occidentale moderno, consapevole di nutrirsi attraverso l’uccisione di altri esseri viventi, avrebbe dovuto costruirsi un modello comportamentale che gli impedisca di essere quotidianamente cosciente della propria aggressiva voracità.
Ma poiché, come dicevano gli antichi, mors tua vita mea, dietro quest’ipocrisia collettiva si nasconde la necessità di allontanare dalla mente individuale foschi pensieri, quelli che ci rammentano che anche noi facciamo parte integrante di un sistema che ricicla fino alla più infinitesimale particella di ciò che produce; e che un giorno entreremo anche noi, nostro malgrado, nel ciclo biologico, diventando nutrimento concreto per qualche altro affamato del pianeta.
“Cibo per il nulla e per l’eternità, gli uomini sono destinati a ingerire e ad essere ingeriti”. In definitiva, mangiando in silenzio cerchiamo, indirettamente, di trovare una rassicurazione per i nostri animi, ai quali è come se dicessimo che il pericolo è ancora di là da venire… e che nessuno ci sente!
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