Ars magirica e combinatoria, quella della cucina e della presentazione delle vivande è una disciplina che rispecchia e, di volta in volta, propone un modus vivendi. Dietro ad un piatto o ad un regime alimentare si nasconde sempre lo stile di vita di chi lo serve in tavola e della società che lo consuma.
La parola gastronomia nasce in Francia nel 1800. Termine di derivazione greca, gastronomia significa letteralmente la “legge dello stomaco” ovvero l’arte della “regolazione dello stomaco”. Più in generale, esso indica norma e modello nutritivo.
Ogni società codifica un insieme di regole alimentari alle quali i suoi membri sono tenuti ad attenersi. Quando non siano organi istituzionali o gruppi sociali a definire le regole, senza dubbio la norma culinaria verrà stabilita a partire da parametri di derivazione religiosa. La gastronomia, infatti, è sempre depositaria di tradizioni codificate e ritualizzate che, in virtù di tali crismi, tendono ad essere difficilmente modificabili.
In quanto disciplina normante, l’arte culinaria non conosce rivoluzioni, ma solo lente e graduali evoluzioni. Queste innovazioni si innestano in un sostrato di usi ben consolidato che resiste ad ogni cambiamento e che può essere modificato solo in tempi molto lunghi.
In genere, sono le classi sociali emergenti quelle che condizionano con maggiore incisività il corso della tradizione gastronomica, apportando, con l’innovazione alimentare, anche un nuovo modello esistenziale. I gruppi che a seguito di eventi politici o economici perdono il loro prestigio e il loro potere e quelli che, per estrazione sociale, non vi hanno mai partecipato, restando ai margini della società, sono, di volta in volta, i veri depositari della tradizione.
Nella società contemporanea, a differenza delle epoche precedenti, i cambiamenti e le trasformazioni, a causa della rapidità con la quale si susseguono, non consentono assestamenti troppo lunghi nel tempo. Così, anche quello specchio del vivere sociale rappresentato dall’arte gastronomica subisce variazioni continue determinate dalla miriade di contatti incrociati che il villaggio globale nel quale tutti viviamo consente.
Alla parola gastronomia, come sostengono alcuni storici, si è sostituita quella di “gusto”, che necessariamente deve essere “duttile e leggero, dietetico e sfuggente”. Un cibo sarà considerato gustoso, quindi, solo se potrà essere trasformato a piacere e con relativo dispendio di tempo, cucinato con condimenti leggeri che ne garantiscano la non dannosità per la salute e, soprattutto, qualora consenta di essere consumato rapidamente.
Questo stile alimentare, se da una parte propone un modello di vita più legato alle esigenze del singolo, allo stesso tempo non è privo di risvolti che lo rendono particolarmente dannoso. Con la perdita dell’”identità alimentare”, stiamo assistendo, infatti, anche alla perdita di quell’”identità elementare” che è al fondamento di ogni individuo e di ogni gruppo, i quali, solo a partire da questa matrice comune originale, possono poi trovare una probabilità di coesione e sviluppo.
Come non esiste struttura che possa essere edificata senza fondamenta, allo stesso modo, non c’è singolo o gruppo sociale che possano sviluppare una vera identità senza coesivamente riconoscersi in qualcosa. Questo “qualcosa”, in una misura non indifferente, è rappresentato anche dal quel sentimento di appartenenza che può costituirsi a partire dal seguire uno specifico modello dietetico che affondi le proprie radici in una tradizione da lungo tempo costituita.
La gastronomia nacque, in un primo momento, affiancandosi alla farmacologia per indicare con altre prescrizioni, le ricette, appunto, uno stile di vita che fosse più attento alle necessità dietetiche dell’organismo. I medici dell’antichità furono tra coloro che affrontarono per primi il problema del mantenimento della salute attraverso il controllo della dieta. Del resto, anche molte specie animali da sempre bilanciano il proprio regime alimentare in funzione delle diverse necessità che il loro organismo si trova ad affrontare.
Quello che sicuramente è un meccanismo predeterminato capace di rispondere alle necessità fisiologiche dell’essere vivente che, qualora viva secondo natura, sa riconoscere, non poteva essere sufficiente all’uomo evoluto. In ragione del suo modello di vita, organizzato in complesse costruzioni sociali, l’uomo si è sempre più distaccato dal contesto naturale e ha perduto, un po’ alla volta, la capacità di riconoscere i segnali di allarme che il suo corpo gli invia. Ecco quindi nascere la farmacologia e, successivamente, la gastronomia o meglio la dietetica.
Ciò che però caratterizzerà l’essere umano sarà quella “felice ispirazione” che gli permise di comprendere che il cibo poteva anche “essere esperienza”e, soprattutto, godimento. La gastronomia, perciò, non fu, fin dal suo esordio, un semplice regime dietetico, ma una vera e propria arte di vivere… mangiando.
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